top of page

Di cosa parliamo quando parliamo di musica sperimentale? [Seconda parte]

Aggiornamento: 19 feb 2021

Facciamo ancora un passo indietro e torniamo alle radici del termine "musica sperimentale" nel modo in cui lo intendeva Pierre Schaeffer.





Quando organizzò la già citata conferenza di Parigi (era il 1953, gli atti furono pubblicati cinque anni dopo), Schaeffer si trovò davanti una varietà di compositori che avevano iniziato a usare le "nuove tecnologie" per le loro produzioni musicali: c'erano i futuri rappresentanti della tape music americana e dell'elektronische musik di Colonia, c'erano colleghi che si occupavano di musica concreta e chi aveva iniziato a mescolare questo-quello-e-la-tradizione generando "musica esotica".


Tutta quella varietà aveva bisogno di un territorio di gioco comune.


Ne venne fuori che per tutti il suono doveva essere considerato di per sé stesso: il suo elemento causale non aveva alcuna importanza (Herbert Eimert, padre della musica elettronica, non fu molto d'accordo...).

Se la natura del mezzo non era importante, allora la nozione di nota - così legata alla dimensione fisica dello strumento - sarebbe stata del tutto inutile: meglio adottare l'idea di un oggetto sonico provvisto di un inizio, un corpo e di un decadimento.

Il compositore poteva essere l'esecutore della sua opera e la partitura un semplice appunto o un insieme di istruzioni. La creazione poteva anche essere raggiunta attraverso la divisione delle responsabilità, come accadeva per le produzioni cinematografiche (si vedano i lavori in team negli electronic music studio).

Il concerto non era più lo spettacolo tradizionale e la condizione di ascolto coinvolgeva simultaneamente nuovi elementi fisici, psicologici, individuali e sociali.


Fu anche detto che, in questa musica, l'uso delle "macchine elettroniche" non avrebbe dovuto imitare gli strumenti tradizionali e che i "nuovi" strumenti non costituivano un fattore di sperimentazione.

Anche i suoni e gli effetti per film o radio dovevano essere considerati come una forma artistica minore.


Insomma, si tentava di mettere ordine tra le nuove espressioni ma in realtà i labili confini della materia non facevano che alimentare una bella confusione: la musica concreta era sperimentazione, lo era quella elettronica e lo era anche quella per nastro magnetico che combinava l'elettronica, la manipolazione e gli strumenti tradizionali.


Ed è proprio qui che entra in gioco John Cage, trasformando, con l'indeterminazione, l'accrocchio di Pierre Schaeffer in un contenitore più definito.





C'è un motivo se John Cage è universalmente conosciuto come il padre della sperimentazione elettronica: Cartridge Music (1960) ne è considerata la prima espressione, anticipata in epoca prebellica da un'altra sua composizione, Imaginary Landscape N°1 (1939) (ascoltala qui) che prevedeva l'impiego di due giradischi a velocità variabile in esecuzione di tre diverse registrazioni di frequenze.





In Cartridge Music, la sovrapposizione casuale di alcuni fogli trasparenti con i disegni di forme, linee e punti indica ai musicisti quando manipolare oggetti amplificati per mezzo di microfoni a contatto e testine o quando agire sui volumi dell'amplificazione. Tutti i suoni sono accolti, inclusi gli incidenti, i feedback e i ronzii:


  • il sistema principale è quello dalle amplificazioni (microfoni a contatto, puntine dei giradischi) che consente l'esistenza degli oggetti sonici frutto delle azioni compiute su materiale non convenzionale

  • le istruzioni necessarie all'azione (partitura) costituiscono il processo di realizzazione dell'opera e sono scritte con un metodo non tradizionale (fogli di carta da lucido con linee, punti e forme da sovrapporre)

  • il risultato è il frutto dell'indeterminazione (la combinazione dei fogli da lucido è casuale; gli oggetti da manipolare e le azioni non sono indicati nelle istruzioni)

  • il risultato è irripetibile in maniera identica

  • accoglie qualsiasi suono, compreso il non suono (le istruzioni contemplano l'esistenza di momenti di azione con un volume di amplificazione pari a 0).

I sistemi di amplificazione costituiscono così la prima cifra stilistica della sperimentazione elettronica e permettono di rivelare una vasta gamma di suoni mai uditi prima o di potenziarne il volume conferendo nuovi livelli di ascolto. Di questo processo sono esemplari 0'00'' - versione elettronica di 4'33'' - o Music for Solo Performer che trasmette le onde alfa del cervello di Alvin Lucier.





I sistemi di amplificazione possono divenire a loro volta oggetti sonici, come nel caso del feedback, il cui sfruttamento è esemplificato in Pendulum Music di Steve Reich (1968).





La manipolazione in tempo reale di materiale preregistrato e i risultati indeterminati delle operazioni tracciano un secondo solco in questa storia rappresentata, ancora una volta, da Cage con il suo Variations IV e 33 1/3 (1970): la partitura di quest'ultimo prevede che il pubblico abbia in consegna alcuni giradischi e LP selezionati con criteri casuali, da suonare a piacere.

Ma nella musica sperimentale elettronica la partitura può anche essere lo schema di un circuito: questo vale per il lavoro di Gordon Mumma - la cui progettazione di attrezzature elettroniche diviene parte integrante del processo compositivo - o dei coniugi Barron, dediti alla registrazione e manipolazione dei suoni di circuiti autocostruiti portati al collasso.




Ci sono poi i processi di esclusione o cancellazione durante i quali il pubblico ascolta solo il risultato finale di un processo di trasmissione che si verifica quando, ad esempio, il suono di uno strumento o di una traccia registrata è filtrato in tempo reale sino a essere annullato o radicalmente diverso dalla sua fonte, come in 1-2-3-4 di Gavin Bryars (1975) (qui) o I am sitting in a room (1969) di Alvin Lucier.





Altri sistemi che portano al risultato inatteso prevedono invece la loro attivazione attraverso il movimento - come la celebre scacchiera impiegata da Cage e Marcel Duchamp in Reunion (1968) - o il coinvolgimento degli ambienti naturali: in Drive In Music di Max Neuhaus sette radio trasmittenti sono distribuite lungo un viale, ognuna con un suono diverso che può essere udito solo transitando con un'automobile dotata di radio sintonizzata su una precisa frequenza.


La sperimentazione elettronica fa uso di sistemi che privilegiano il "non ancora" il "non mai" o il "diversamente udito", accettando e accogliendo inconvenienti tradizionalmente ripudiati, costringendo i pubblici a nuove condizioni di ascolto.


Immagino si faccia un po' fatica a far quadrare tutti questi conti...



 


Ti è piaciuta questa Breve Storia?



 

Per saperne di più


Il libro consigliato:

Michael Nyman, La Musica Sperimentale, Shake Edizioni, Milano 2010 [principale fonte di questo articolo]




Letture nel web:




 


bottom of page