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Immagine del redattoreJohann Merrich

Lavinia Williams e Leon Theremin: una storia americana

Grazie all’American Negro Ballet, Leon Theremin incontrò anche la futura moglie: Lavinia Williams. Danzatrice, studentessa di arte e vorace lettrice, Williams conosceva sei lingue e parlava fluentemente russo...


Nella vita del nostro inventore, la storia d’amore con Williams capitò in un periodo piuttosto turbolento: disavventure e investimenti sbagliati generarono nel portafoglio di Theremin un vertiginoso accumulo di debiti.


La situazione più delicata fu quella con il Bureau of Prison del Governo statunitense: Theremin doveva all’ente 4.896 dollari a causa di un incarico che non andò come sperato. Nel 1934, la Teletouch Corporation di Theremin aveva progettato e costruito dei sistemi di sorveglianza per la prigione di Alcatraz; l’avventura si concluse nel 1937, quando, a seguito di un malfunzionamento degli apparati, fu richiesto il loro smantellamento e il rimborso integrale dell’investimento.


Theremin e Williams si sposarono in segreto e il matrimonio interrazziale rivelò ben presto il vero volto di molti amici e sostenitori dell’inventore. Come riporta Glinsky nel suo Theremin: Ether Music & Espionage, furono in molti ad allontanarsi dal pioniere russo e la relazione gettò scandalo tra gli aristocratici del circolo di Lucie Bigelow Rosen, virtuosa milionaria e – sopratutto – finanziatrice dell’inventore.


Sino ad allora Theremin aveva alloggiato nell’edificio al civico 37 - West 54th Street, Manhattan: un palazzo su tre piani offerto dai coniugi Rosen come studio e abitazione in cambio di un affitto simbolico. In seguito al matrimonio, la coppia Theremin-Williams si trasferì in un altro appartamento.


Qualche tempo dopo, nell’estate del 1938, una missiva dei coniugi Rosen [nella foto qui sotto] intimava l’inventore di lasciare al più presto lo studio:

It was intended to be merely a temporary occupation. The time has now come where you must make very prompt arrangements to move out” (trascrizione di Glinsky, p. 186). La motivazione ufficiale che aveva spinto i Rosen a prendere tale decisione era la posizione di insolvenza dell’inventore che lo rendeva un cittadino decisamente poco onorevole.

A queste grane si aggiungeva poi anche il problematico rinnovo del permesso di soggiorno in scadenza: Theremin non era mai stato naturalizzato e il suo matrimonio con una donna afroamericana non aveva alcun peso civile.


Lontano dai fasti dei balli al Plaza Hotel e delle cene con i Rothschild, la direzione del vento che sospingeva Theremin nella sua avventura americana stava cambiando.


Nel dicembre del 1934, l’inventore era già stato segnalato – red flagged – in un memorandum dell’FBI indirizzato a J. Edgar Hoover [nella foto qui sotto]; il Dipartimento del Lavoro aveva dichiarato la volontà di ordinarne il ritorno in Russia perché Theremin era da troppo tempo su suolo americano, a dispetto di quanto indicato dalla sua carta di residenza temporanea. In quell’anno però l’avvocato di Theremin riuscì a sistemare le cose: riferì che l’inventore si stava occupando di esperimenti confidenziali per conto degli Stati Uniti, della Division of Investigation, il Department of Justice e il War Department (ossia: li informò sulla commissione per la prigione di Alcatraz). Nel 1938, con l’aggravarsi dei debiti, l’accumulo di tasse non pagate e l’assenza di un incarico ufficiale, per l’FBI la posizione di Theremin era divenuta insostenibile (Glinsky, p. 185).


La ciliegina sulla torta era infine rappresentata dal complesso quadro socio-politico degli Stati Uniti del tempo; dai documenti d’archivio della polizia russa (Glinsky, p. 214) sappiamo che Theremin non era iscritto al partito comunista. Lo stesso però non poteva dirsi di molti suoi amici, collaboratori e frequentatori dei Theremin Studio: il cineasta Lewis Jacobs, ad esempio, era un editore di Experimental Cinema, una rivista filo-socialista che intendeva il cinema come un potente strumento di coscienza sociale e di classe.


Collaboratore di Theremin, Leopold Stokowski era invece vice presidente dell’American Society for Cultural Relations with Russia e le sue avventure riempivano le pagine dei documenti del Department of Labor - Federal Security Agency: dalla direzione del canto dell’Internazionale durante una rassegna dei Young People Concert (1934) al suo discorso in occasione del memorial meeting in onore di Lenin, dove eseguì anche la sua Ode to Lenin…

Nella storia statunitense ci furono due particolari periodi in cui non conveniva essere, frequentare – o dare l’idea di frequentare – i comunisti. Questi segmenti temporali sono oggi ricordati come il periodo della Red Scare, diviso nell’epoca Palmer (1919 - 1920) e nel maccartismo (1947 - 1954).


L’epoca Palmer si aprì nel 1919, anno in cui Hoover iniziò quella che l’anarchica e femminista russa Emma Goldman [nella foto qui sotto] chiamerà “deportation mania”: espulsioni di massa di persone additate come comuniste, sovversive o anarchiche sostenute da una pesante retorica anti-immigratoria.


Nella sola notte del 7 novembre 1919, furono arrestate migliaia di persone e indette centinaia di deportazioni in risposta ad alcuni attentati operati da anarchici e sovversivi.


Se è vero che il “periodo caldo” di Theremin si inserisce in un decennio di relativa quiete della caccia alle streghe, si dovrà anche osservare che durante il lungo mandato di Hoover la “Questione Negra” e quella sovversivo-comunista furono considerati elementi quasi indissolubili.


Già nei primi anni Venti, il Worker Party of America – braccio legale del più sotterraneo Partito Comunista americano – invocava l’unità delle classi di lavoratori neri e bianchi “in supporto dei Negri nella loro lotta per la liberazione e per l’uguaglianza economica, politica e sociale”.


Per quanto sacrosanti, gli incitamenti degli ambienti comunisti rimasero, nella maggior parte dei casi, nel reame della retorica di partito: parlare di un massivo, vero e concreto mutualismo tra comunisti e attivisti della comunità nera in questo periodo storico non è del tutto corretto. Ciò nonostante, discorsi e dichiarazioni ebbero il potere di spaventare il governo statunitense che riteneva che i comunisti intendessero usare la questione nera per gettare il paese nella violenza.


Possiamo dire che tra il 1934 e il 1938 Theremin si ritrovò a percorrere una rampa di lancio pronta a proiettarlo verso una sicura catastrofe. Le benevolenze della buona società americana si dissolse nel nulla: non era elegante e sicuro frequentare una persona indebitata con il Governo. Non era appropriato farsi vedere in compagnia di una coppia mista. Lo stesso Governo americano non aveva più ragione di riservargli trattamenti di favore: Theremin era un insolvente. Il suo ingegno non era più di alcuna utilità. Ed era un potenziale pericolo comunista.

Nel 1938, Theremin non aveva un soldo, non aveva più uno studio né credibilità sociale. Aveva una moglie che amava, una montagna di debiti ed essere americano non gli piaceva poi molto; come ricordò Lavinia Williams: “decidemmo di non avere figli perché se fossero nati in America sarebbero stati cittadini americani”.


Sempre da Williams sappiamo che Theremin sognava di tornare in Unione Sovietica, anche se dal suo paese arrivavano, giorno dopo giorno, notizie terrificanti: le purghe di Stalin, le esecuzioni dei traditori… Ciò nonostante, osservava Theremin, “Non avevo paura. Pensavo che essendo cittadino russo non avrei avuto di che temere” (Glinsky, p. 186).


Tra il 15 settembre del 1938 e il 10 marzo 1939, i colori della storia di Theremin assumono velature di giallo. Con un documento legale del 31 agosto del 1938, Theremin firma una dichiarazione che concede all’amico e collaboratore Boyd Zinman la piena gestione della Teletouch Corporation e dei suoi brevetti, sottoscrivendo di essere “in procinto di lasciare lo Stato di New York”. (Glinsky, p. 187).

Il 15 settembre 1938 viene imbarcato su una nave mercantile diretta in Russia, la Stary Bolshevik, con la falsa identità di assistente del capitano. La procedura era la stessa impiegata dalla polizia sovietica per i “rientri forzati”.


Theremin ha sempre dichiarato di essere partito dagli Stati Uniti volontariamente e di aver chiesto il permesso di portare con sé anche la moglie; il giorno della partenza fu però informato che Williams sarebbe stata imbarcata due settimane dopo. La cosa non avvenne mai.


Williams invece ricorda così l’avvenimento: “Ero lì quando vennero a prenderlo per riportarlo in Russia. Mi disse di non seguirlo e di non provare a contattarlo. Penso temesse per la mia vita” (intervista riportata da Glinsky, p. 190).


Sbarcato a Leningrado, Theremin raggiunge Mosca dove il 10 marzo 1939 è arrestato all’Hotel Kievskaya e portato alla prigione di Butyrka. Per nove anni cercò di scrivere a Williams ma le sue lettere non furono mai recapitate.

Williams continuò la sua carriera di danzatrice: “Tra il 1945 e il 1946 viaggiai in Italia, Germania, Belgio, Austria e Francia. Chiesi ovunque se qualcuno aveva informazioni su Theremin, ma non riuscii mai a rintracciarlo e per molti anni pensai che fosse morto. Fu davvero dura” (Glinsky, 249).

Nel 1953 Williams si trasferì ad Haiti, dove inaugurò l’Haitian Institute of Folklore and Classic Dance, assicurandosi con quell’“esilio volontario” la sopravvivenza del suo mestiere dalle purghe maccartiste.



 

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