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E.A.T. Experiments in Art and Technology

Aggiornamento: 19 feb 2021

Nel periodo d'oro della sperimentazione esistevano cose come EAT, acronimo di Experiments in Art and Technology, un'associazione non-profit nata con lo scopo di facilitare i contatti, gli scambi e le collaborazioni tra artisti e ingegneri



EAT mirava alla creazione di progetti sinergici per abbattere la separazione tra individui e tecnologia.


EAT è fondata nel 1967 da Billy Klüver – ingegnere dei Laboratori Bell – Fred Waldhauer – anche lui dipendente dei Bell Labs e della RCA, Robert Rauschenberg - che non ha bisogno di presentazioni, e Robert Whitman – stimato performer della cricca di Kaprow e Oldenburg.


EAT radunava oltre 30 diversi artisti e ingegneri e prese vita dopo l'esperienza di 9 Evenings: Theatre&Engineering, serie di performance newyorkesi dal titolo esplicativo a cui presero parte anche l'immancabile John Cage con Variations VII e David Tudor con Bandoneon! (A Combine).



All'interno di EAT, gli ingegneri avrebbero dovuto:


1. Dare informazioni e materiali

2. Tradurre il problema dell'artista in un linguaggio adeguato

3. Rispondere alle domande degli artisti attraverso incontri e generare idee o stabilire contatti diretti e personali

4. Risolvere direttamente problemi tecnici


Questi sono solo alcuni punti salienti dell'agenda di EAT.


Il capolavoro di EAT è senza dubbio il Pepsi Pavilion realizzato per l'Expo di Osaka nel 1970.




Iniziamo dall'esterno: la struttura del padiglione era una cupola geodetica di Bukminster Fuller; raggiungendo il sito, il visitatore l'avrebbe a malapena vista perché ammantata da una gigantesca scultura di nebbia (vera) realizzata da Fujiko Nakaya.


Per entrare, lo spettatore avrebbe dovuto percorrere un lungo e oscuro corridoio inclinato. Raggiunto l'interno della cupola, al visitatore veniva consegnato un ricevitore: un cilindro di plastica trasparente contenente un piccolo altoparlante, un circuito stampato, una batteria, un antenna, una lampadina. Per induzione, l'antenna rilevava i segnali elettromagnetici prodotti da un sistema celato nel pavimento e il circuito di amplificazione portava i suoni all'altoparlante. Questo sistema portatile poteva funzionare per circa quindici minuti.



Sopra le teste dei visitatori, uno dei più grandi specchi mai realizzati generava degli ologrammi. L'opera fu un'idea di Whitman: costruita grazie a uno speciale film plastico, il Melinex, aveva un diametro di 27 metri.


Sparsi qua e là e nascosti dallo specchio, 37 diffusori spargevano il suono elettronico e le registrazioni ambientali di David Tudor; il sistema sonoro agiva assieme al sistema luminoso di Tony Martin ed entrambi potevano essere controllati e manipolati in tempo reale con un mixer speciale.





Lo spazio era aperto a tutti gli artisti giapponesi e americani che avrebbero voluto lavorarvi e sperimentare.

Quante cose potremmo fare oggi se fosse organizzata una nuova versione di EAT?



 


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Per saperne di più:


• Consiglio la ricca bibliografia accessibile proposta da Monoskop.org


Composers inside electronics si dedica interamente all'opera di Tudor nel Pepsi Pavilion [principale fonte di questo articolo]



 


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