Ho “ereditato” Paul quando ho sposato mio marito, Robert Rock- more. Normalmente Paul aveva un artista aggiuntivo con cui con- divideva il programma dei concerti, altrimenti troppo lunghi per un solo cantante. Al tempo era abbastanza famoso. [...] Mi invitò a fare un tour coast-to-coast con lui. Entrambi avevamo firmato con la Columbia e avevamo lo stesso management. È così che accadde il nostro primo tour assieme. Fu talmente un successo che conti- nuammo a fare tournée; abbiamo dato, più o meno, centocinquanta concerti. Lui aveva il suo accompagnatore e io il mio. Io suonavo i miei due set, lui i suoi. Non abbiamo mai fatto un duetto"
Da un'intervista a Clara Rockmore pubblicata nel sito di New York Theremin Society e realizzata nel marzo del 1979.
[Il testo che stai per leggere è tratto da: Johann Merrich "Uno strumento dal futuro per cantare l'inclusione: il theremin, Clara Rockmore e la black community" 99-112. Capitolo racchiuso nel volume collettivo L'Elettronica è donna. Media, corpi, pratiche transfemministe e queer a cura di C. Attimonelli e C. Tomeo, Castelvecchi Editore, Roma 2022].
Figlio di uno schiavo fuggito da una piantagione del North Carolina, Paul Robeson (1898-1976) è stato uno dei protagonisti delle battaglie per i diritti umani e civili della comunità nera americana. Sfortunatamente, le sue gesta furono silenziate dal maccartismo: a causa della sua associazione con l’American Communist Party, dalla fine della seconda guerra mondiale fino alla sua morte, Robeson sarà black listed; nel 1958, gli Stati Uniti decideranno di cancellarne persino il passaporto, trattenendolo in Europa fino al 1961. Anche dopo la sua morte, le tracce del maccartismo censureranno la sua storia e condanneranno la sua celebrità e i suoi contributi nella lotta per i diritti civili a riposare nell’ombra.
Attore drammatico e baritono di eccellenza, Robeson fu il primo afroamericano a impersonare l’Otello di Shakespeare e nella sua interpretazione decise di puntare i riflettori sulle implicazioni razziali della tragedia. Star del cinema, interpretò undici film nella volontà di «mostrare la verità sulla condizione nera». Laureato alla Columbia Law School, sarà impegnato per tutta la vita nelle lotte sociali; da cantante si dedicherà, sin dai primi concerti, alle folk song della tradizione afroamericana e internazionale.
Il 7 ottobre e il 24 novembre 1940, per la prima volta il baritono spartì il palco con Rockmore in due concerti alla Carnegie Hall e alla Town Hall di New York; in entrambe le occasioni, Robeson fu accolto da calorose ovazioni: oltre millecinquecento spettatori assistettero al repertorio scelto che «naturalmente includeva esempi degli inevitabili Negro spiritual dei quali è un celebre esponente e senza i quali il pubblico non sarebbe andato via soddisfatto». «Nell’arrangiare il suo programma, Mr. Robeson ha fatto ricorso al folklore di numerosi popoli e paesi, lasciando il campo della composizione più classica a Clara Rockmore, thereminista nel ruolo di assisting artist».
Le due date seguirono lo stesso schema che sarà adottato nei tre diversi tour condivisi tra 1940 e 1943: Robeson eseguiva la prima e la terza sezione del concerto, mentre Rockmore si dedicava alla seconda e alla quarta parte, prima del canto di chiusura. Nella scelta dei brani, Robeson aveva un’attitudine smaccatamente politica: «Tutta la musica che cantava aveva a che fare con la lotta contro le oppressioni o con la preghiera di armonia e fratellanza universale». Come ricordano gli storici della sua opera, non era infrequente che Robeson cambiasse i testi delle canzoni per trasmettere con più forza particolari messaggi.
Quando i due solcavano i palchi delle cittadine universitarie durante le loro tournée, l’ombra della discriminazione razziale pareva per un attimo scomparire dall’orizzonte, per poi manifestarsi nuovamente in ogni altra circostanza. Un episodio accolto dalla biografia di Robeson riassume l’aria affilata che accompagnava i loro viaggi attraverso gli Stati Uniti: un pomeriggio, Rockmore abbracciò in pubblico Lawrence Benjamin Brown – pianista afroamericano che accompagnava Robeson – raggelandone il sangue. Brown dovette preoccuparsi di ricordare a Rockmore come funzionava la vita: «So che non t’importa di quel che pensano gli altri, ma vuoi per caso che finisca linciato?».
Un’altra occasione esemplare accadde al termine di un concerto dato a San Francisco, una notte di novembre. Ancora in abito da sera, Rockmore e Robeson andarono con degli amici – Revels Clayton, leader del Black Labour, e la moglie Lee; Louise Bransten (bianco) e John Pittman (afrodiscendente) editore del People’s World – a cena da Vanessi’s, noto punto di ritrovo dell’area cosmopolita di North Beach. Giunti al ristorante, a Pittman fu detto che poteva entrare, ma «lui [Robeson], no». La compagnia se ne andò immediatamente e tornò al Fairmont Hotel; ordinarono del cibo in camera e fecero festa.
L’indomani intentarono causa al Vanessi’s per discriminazione, ma la denuncia non arrivò mai a processo. Clara e Paul furono legati da una profonda amicizia, testimoniata anche dalle lettere piene di intimo dolore scritte da Robeson durante il suo esilio europeo.
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Rispettando il verbo della tradizione, si è portati a giustificare e a liquidare l’assenza con piglio poco curioso. Se la domanda «Dove erano le donne agli albori della musica elettronica?» ha cominciato a emergere con vigore solo in questo nuovo secolo, altre domande – come: «Dove erano gli afroamericani?» – tendono solo oggi a essere affrontate timidamente. Se si desidera scrivere una nuova storia più inclusiva ed equa, si dovrà guardare ai fatti allenando uno sguardo curioso, spogliato di certezze meccanicamente reiterate. Si dovrà con- siderare l’assenza come il più alto tra i valori, come una fonte che proietta contenuti di riflesso, un elemento fondamentale per la cono- scenza. Fatti storici come quelli descritti dal programma di debutto di Clara Rockmore o dalle sue tournée al fianco di Robeson potranno allora alzare un nuovo sipario e mostrare aspetti del passato che, nel nostro nuovo secolo, non possono più essere emarginati.
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