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Feedback, feedback, feedback | Parte 2

Aggiornamento: 19 feb 2021

Chi fu il primo a impiegare il feedback in campo musicale? Ha un senso porsi questa domanda? O meglio: è la domanda corretta da porsi?



Stati Uniti, annus mirabilis 1929. È questo il periodo di avvio delle prime esperienze commerciali degli strumenti a corde elettrificati, messi in vendita assieme a modesti amplificatori la cui tecnologia derivava dalle esperienze della radio e della telefonia.


Attorno al 1931, a Los Angeles, George Beauchamp e Paul Barth sviluppano un pickup elettromagnetico da applicare a un modello di chitarra dal corpo in alluminio, la Frying Pan.



Per quanto rudimentale, il nuovo strumento spinge i due costruttori a formare una compagnia di produzione assieme ad Adolph Rickenbacker e Billie Lane: la Ro-Pat-In.

Fu così che nacque l'Electro String Instrument, chitarra elettrica sostenuta nel suo funzionamento dagli amplificatori costruiti da Roy Van Nest nel suo negozio per radioamatori.


Il feedback è in questo periodo uno sgradevole inconveniente tecnico, inseparabile da qualsiasi prodotto a corde elettriche: fini chitarristi e inventori come Les Paul e Leo Fender passavano giornate intere a grattarsi la testa chiedendosi come ridurre quel fastidioso suono.

Con l'invenzione del Super Amp di Leo Fender (1947) – a 18 watt e non più a 10 – il potenziale racchiuso nella manopola del volume dell'amplificatore fu chiaro a tutti: l'inconveniente del feedback e l'inevitabile effetto di distorsione che accadeva con l'aumento del volume sarebbero ben presto diventati LA cifra stilistica dei nuovi strumenti.


Se anche tu come me sei una persona curiosa, ti invito a compiere una ricerca tra le pieghe di internet per scoprire a chi viene attribuito per primo l'impiego del feedback in campo musicale... Se nel frattempo vuoi fidarti della mia ricerca, ti rivelo che lo scomposto mondo della diffusione web delle informazioni attribuisce all'unanimità questa rivoluzione ai Beatles, per la precisione ai due secondi di intro della chitarra di Lennon in I Feel Fine (1964).





Poiché il feedback nasce assieme alle chitarre elettriche e agli amplificatori, sarà un po' strano pensare che dal 1930 al 1964 nessuno lo avesse mai impiegato in qualche forma di canzone "popolare"...


Facendo qualche passo indietro, fermandoci solo agli anni Cinquanta, troviamo ad esempio Muddy Waters, storico blues man che contribuì moltissimo a popolarizzare l'impiego della chitarra elettrica; lo stesso Muddy Waters rivoluzionò il mondo del blues con il suo modo aggressivo e fisico di suonare, sperimentando attorno ai temi della distorsione del feedback nel periodo in cui nelle città americane iniziavano a essere accessibili le chitarre elettriche e cominciava a prendere piede l'urban blues.


Ma quanti furono, al tempo (e anche oggi) gli ascoltatori di Muddy Waters e quanti invece quelli dei Beatles?


Ma siamo poi sicuri, che i due secondi di Lennon rappresentino davvero la nostra concezione di "uso del feedback"?

Credo che ci sia andato più vicino, in quello stesso 1964, Pete Townshend degli Who che ebbe l'idea di utilizzare due amplificatori di chitarra seguendo il suo idolo Steve Cropper di Booker T & the MG'S. Come racconta lo stesso Townshend a proposito di quelle prime sperimentazioni:


A volte un mio assolo di chitarra si trasformava in un unico, lungo ululato pieno di armoniche e sibili in continua evoluzione. Ma nella sua mostruosità scoprii qualcosa di euforico, un suono ultradinamico in cui le melodie si rincorrevano. Qualcosa che poi sarebbe stato approfondito da altri chitarristi che usarono molto il feedback, in particolare Jimi Hendrix.




Ma ancora non è ancora abbastanza. I molti chitarristi aperti al graffiante suono elettrico utilizzavano il feedback come un'infiorettatura, un arricchimento, un segno e segnale di appartenenza a generi ruvidi e ribelli.


Si dovrà attendere fino al 1975 prima che un'altra icona del rock arrivi a comporre un intero album attraverso esclusivi e ininterrotti feedback chitarristici: si tratta di Lou Reed con il suo Metal Machine Music, un capolavoro che non tutti accolsero con piacere e che arrivò alle spalle come un pugnale tra i suoi fan, reduci dal più tranquillo Sally Can Dance, quarto album dal successo planetario del musicista americano.





Per quanto rivoluzionario, Metal Machine Music rimase una mera bizzarria e il feedback, usato in tal modo, fu visto come una tecnica molto rumorosa che strizzava l'occhio alle avanguardie senza conquistare definitivamente il cuore degli ascoltatori.


Sarà la fusione di due mondi solo in apparenza lontani – avanguardia e rock – e la convergenza di esperienze maturate per anni tra i continenti a generare il folle amore per questa sfumatura del noise, popolarizzata in tutta la sua splendida purezza grazie – tra gli altri – a Sonic Youth e My Bloody Valentine, che negli anni Ottanta riuscirono finalmente a portare l'uso estensivo del feedback alle orecchie di intere generazioni.





 

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