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Dalla Uovosfera al Telharmonium: 5 ispirazioni per non far morire la musica dal vivo

Aggiornamento: 9 gen 2021

In epoca di pandemia globale, c' è un pensiero doloroso che scivola tra le costole dei musicisti e degli amanti dello spettacolo dal vivo ed è del tutto impossibile far finta di nulla nascondendosi dietro agli artifici (economicamente ed emotivamente dannosi) dello streaming.


Ugo La Pietra, Immersione "Caschi sonori", Triennale di Milano, 1968. ugolapietra.com

Oggi ti propongo qualche performance in bilico tra storia e ironia acida per iniziare ad accumulare esperienze dal passato per trarne - forse - ispirazione e costruire nuove e deliranti modalità per la fruizione di musica dal vivo.




Per gli spiriti indipendenti: la Uovosfera

U. La Pietra, Immersione Uomouovosfera, 1968

Pioniera della musica elettronica italiana, negli anni Sessanta Franca Sacchi ha agitato la vita culturale milanese con le serie di concerti dedicati alla sperimentazione allestiti alla Galleria Parametro. Nel 1967, Ugo La Pietra e Sacchi avviano la serie delle Immersioni unendo arte visiva e arte sonora nella manifestazione di una sola fonte di ispirazione. Immersione-Ambiente Audiovisivo risale al 1968: caschi sonori, o microambienti, consentono la percezione personale dei suoni e delle musiche di Sacchi diffuse all’interno di un ambiente audiovisivo in metacrilato trasparente che trasmette impulsi luminosi scanditi dal tempo di due metronomi regolabili. Installati alla quattordicesima Triennale di Milano, nei caschi audiovisivi:


«La Pietra fa corrispondere la presenza dell’universo dei suoni non sotto forma di orripilante sottofondo, ma come sfera musicale individuale».

Il successivo Ambiente audiovisivo interattivo [persone all’interno dell’ambiente] (1969) prevedeva una diversa partecipazione dello spettatore:


«Il visitatore progrediva lungo il percorso di plexiglass verso una sorta di cupola trasparente, il suono diventava più forte o più debole, causando strane interferenze con l’intensità delle luci e le trasparenze del tunnel».

Le Immersioni nel suono (1970), terza opera della serie, vedeva la presenza di «un contenitore sferico con un piccolo bastone estraibile contenente un sistema di accensione a mezzo di una bolla di mercurio, di un suono elettronico con l’inclusione di un piccolo neon».




Per gli ipocondriaci: distanziamento garantito con Handphone Table

Nel 2014 ho potuto esperire l'Handphone Table (1978) di Laurie Anderson alla mostra Art or Sound di Fondazione Prada Venezia; l’installazione è un tavolo di legno che cela al suo interno un sistema di riproduzione sonora. I cavi che portano il segnale audio sono collegati ai nodi del legno posti sotto due dischi concavi alle estremità del mobile, disegnati per accogliere i gomiti di due ascoltatori. Seduti l’uno di fronte all’altro e distanti oltre due metri, grazie alla conduzione del suono nelle cavità delle ossa i partecipanti possono ascoltare i brani Now You in Me Without a Body Move e And I Remember You in My Bones coprendosi le orecchie con le mani.


Potremmo convertire la riproduzione della musica da meccanica a performativa e gli ascoltatori, ancorati al tavolo, non rischierebbero in alcun modo di superare i limiti di prossimità stabiliti dalle autorità sanitarie.




Per gli amanti del field recording in crisi di astinenza

Tra il 1967 e il 1980, Maryanne Amacher realizza la sua prima opera installativa: la serie delle ventidue City-Links, registrazioni sonore create per mezzo di microfoni che, collocati in zone remote degli Stati Uniti, trasmettono attraverso le linee telefoniche e le radiofrequenze il paesaggio sonoro catturato in tempo reale. Suoni provenienti da una o più città sono trasmessi dal vivo negli spazi espositivi generando una sincronicità di luoghi diversi e distanti. Ambienti sonori remoti penetrano nella sede espositiva, mescolandosi ai suoni della stanza in cui lo spettatore si trova.


Questo progetto potrebbe essere riconvertito in una speciale linea verde dedicata a quanti si trovano in astinenza da performance musicali; ripristinando le vecchie cabine telefoniche, le persone colte da crisi d'astinenza mentre passeggiano in città potrebbero afferrare la cornetta telefonica di una cabina e fruire di suoni dell'altrove, rigorosamente assegnati alla stazione di ascolto secondo principi di indeterminazione.




Per automuniti: Drive through

Nell'arco della sua carriera Max Neuhaus ha costruito svariate esperienze sonore lavorando rigorosamente con le particolarità di un luogo dato e le sue frequenze: l’udibile è inconcepibile fuori dalle qualità funzionali del posto assegnato che diviene così uno strumento espanso. Nel 1968, il nostro eroe concepisce nella città di Buffalo Drive in Music: lungo il viale Lincoln, nell’arco di mezzo miglio, sono distribuite sette radio trasmittenti ognuna delle quali emette un suono diverso che definisce l’area. I suoni possono essere uditi solo dai guidatori delle automobili che, sinonizzando le radio delle vetture su una precisa frequenza, assurgono a esecutori del brano, producendo la performance. Transitando lungo il viale, il pubblico miscela i suoni controllando la velocità di marcia del veicolo; le condizioni meteorologiche, le diverse prossimità dei mezzi, le andature e le intenzioni del singolo giocano un fattore cruciale, influenzando il risultato.


Convertita nella sua forma pensata per musicisti che eseguono un concerto in live, la performance agevola quei musicisti che abbracceranno a breve la vita da clochard.




Imparare un nuovo strumento: il Telharmonium


Brevettato da Thaddeus Cahill (1867-1934) nel 1897, il telharmonium o dinamofono era un dispositivo polifonico costituito da un gruppo di centoquarantacinque ruote foniche, o ruote sonore, fatte ruotare di fronte a una batteria di bobine elettromagnetiche; due tastiere con un’estensione di sette ottave controllavano i segnali di frequenza accordati secondo la scala naturale. A dispetto delle sue mastodontiche dimensioni, i suoni prodotti dal telharmonium erano assolutamente flebili: per la loro diffusione furono usate inizialmente delle trombe acustiche, poi sostituite dal metodo della filodiffusione che impiegava la normale linea telefonica, al tempo l’unico mezzo di amplificazione elettrica conosciuto. Questa peculiarità, unita agli elevati costi di costruzione, decretò la breve vita dello strumento: il telharmonium stava causando seri problemi di interferenza nelle linee di comunicazione.

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