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Immagine del redattoreJohann Merrich

Due casi di cronaca italiana sulle note di Piero Piccioni

Aggiornamento: 19 feb 2021

Girato nel 1972, il film Il Caso Mattei di Franco Rosi vanta la straordinaria colonna sonora di Piero Piccioni, uno degli eroi della musica italiana per il cinema.



Se non ricordi bene la storia di Enrico Mattei, partigiano ed elemento chiave della ripresa economica del nostro paese per conto di Eni, ti suggerisco caldamente di vedere questo capolavoro del cinema d'inchiesta per scoprire il sogno di un uomo che aspirava alla creazione di un cartello energetico etico ed equo.

La guerra di Mattei contro le lobby del petrolio lo trasformò in polvere di stelle: il 27 ottobre 1962 il suo aereo esplose divampando in fiamme nei cieli sopra Linate e il suo corpo fu ritrovato a brandelli nella campagna milanese.


Ho sempre conosciuto solo il lato più "brillante" della musica di Piero Piccioni; le sue note accompagnano grandi classici del cinema italiano (Mimì metallurgico ferito nell'onore, Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto, Quo Vadis?), spesso abbinate alla figura del nostro Albertone (Il malato immaginario, Il Medico della Mutua, Io so che tu sai che io so, In viaggio con papà, Io e Caterina, Fumo di Londra...).


Impossibile conoscere tutte le oltre 300 colonne sonore del Maestro che nell'arco della sua carriera collaborò - tra gli altri - con Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Mario Monicelli, Bernardo Bertolucci, Dino Risi, Lina Wertmüller.


Per quanto gli interventi elettronici abbiano punteggiato in maniera discreta qui e là l'opera di Piccioni, quando pensiamo alla musica elettronica per il cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta è il cognome di un altro Piero a balzarci in mente per primo: quello di Umiliani.


Ebbene, il tema del Caso Mattei (purtroppo non sono riuscita a trovare la traccia integrale, puoi ascoltare 40 secondi qui oppure vedere i titoli di testa e l'inizio del film) ti farà sobbalzare sulla sedia.





Ti suggerisco di (ri)vedere il film di Rosi per fare qualche considerazione su quante vie alternative avrebbe potuto prendere l'Italia ("E se Mattei non fosse morto?" "E se Piccioni avesse fatto solo musica elettronica?").


Dopo la visione del film, mi sono tuffata in una disperata ricerca nel web per riuscire a recuperare (inutilmente) la colonna sonora e ne ho approfittato per rinfrescare il mio ricordo sulla biografia di Piccioni.


E qui arriviamo a un altro giallo italiano che avevo completamente dimenticato: il caso Montesi.


Il 9 aprile 1953 il corpo di una brava e bella ragazza viene ritrovato da un muratore sulla battigia di una spiaggia. No, non è Twin Peaks: siamo a Torvaianica e il cadavere è quello di Wilma Montesi.


La donna è vestita con una sottoveste e un giaccone allacciato al collo: non ha più indosso le scarpe, la gonna, le calze, il reggicalze e la borsa. Il caso, che suscitò enorme clamore, fu liquidato in prima battuta come una morte accidentale: secondo la ricostruzione degli inquirenti e del medico legale, la Montesi, che soffriva di un eczema ai piedi, si era recata a Ostia per fare dei pediluvi. La donna aveva subito un malore a causa del ciclo mestruale che l'aveva portata a svenire sulla riva del mare dove morì annegata. Il corpo fu poi trascinato dalle correnti da Ostia - dove era stata vista nel pomeriggio - a Trovaianica.





Non serviva Lucarelli per gettare l'ombra del dubbio sulla strana morte dell'elegante ragazza romana: capeggiati da riviste quali Attualità e Il Messaggero, i giornalisti iniziarono a creare un caso mediatico fatto di festini a base di cocaina, uomini potenti e belle donne nelle ville dell'ostiense.




Fu però Marco Cesarini Sforza della rivista di sinistra Vie Nuove a tirare in ballo il nostro Piero Piccioni, "Il biondino", musicista jazz e fidanzato di Alida Valli, nonché figlio di Attilio Piccioni: Vicepresidente del Consiglio, Ministro degli Esteri, tra i massimi esponenti della DC. Il nostro povero Piero rimase invischiato nella faccenda Montesi, riconosciuto dalla stampa come l'uomo che portò ai carabinieri gli indumenti mancanti della vittima.


Il motivo per cui fu ordito quell'intrigo è presto detto: di lì a poco ci sarebbero state le elezioni politiche e il gioco si stava facendo duro, durissimo. La carriera del padre di Piccioni terminò all'istante, nonostante Piccioni Jr. avesse querelato per diffamazione il giornalista di Vie Nuove che in sua difesa disse di aver appreso l'informazione da "ambienti dei fedeli di De Gasperi".


Le accuse di omicidio avanzate contro Piccioni caddero nel nulla dopo un macchinoso processo; nonostante ciò, il nome del nostro rimase infangato a lungo ai sospettosi occhi dei molti.




 

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